
(Magritte)
Se mi scrivesse una rondine muta, potrei dirti che a volte mi nasce come un senso di amarezza: il trascorso è perduto e l’oltre un nulla. Ma non è questo il punto.
Il punto è un luogo di concentrazione, sotto diversi aspetti: l’immenso sembra minimo.
Tutto si chiude e il tratto si assottiglia: un radunarsi asciutto dove il presente è antico, completamente privo di spessore come un rifugio artico, dove raduno un poco non prezioso nel vuoto privo d’altro.
Mia cara, ti scrivo il mio digiuno. Essere è un vuoto intenso e la scia che trascino è un peso falso, un fastidio incorporeo, un risultato senza cognizione dove la terra si rovescia e il tempo si distanzia dal nesso: io coltivo distanze.
Tuttavia ti indirizzo le parole ed i suggerimenti della notte, quando la mia coscienza ascolta il suono di una campana lieve che mi trascina nell’inascoltato. Se Dio respira è un attimo che trema. Qualche volta un silenzio, se ascoltasse.
Ma per fortuna il tempo non consegna le lettere e l’incompiuto mi permette di scriverti. Questo conserva intatto il tuo pallore, il mio rivolgimento, lo sguardo troppo grande di una notte stellata.
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