“Orfeo ed Euridice” di Jorie Graham
Nota sullo scrivere poesia
(di Giovanni Baldaccini)
Ora il punto è esattamente questo: bisogna saper scrivere. La cosa non mi riguarda: personalmente, soltanto qualche guizzo, qualche lampo saltuario (piove poco). Ieri, però, ho trovato qualcuno che è capace di farlo e sono rimasto fulminato.
Si, se trovi qualcuno che sa scrivere ti fulmina (per fortuna capita raramente) e da questa fulminazione è difficile uscire: ci si resta (fulminati, dico). Perché scrivere non è soltanto addensare parole, dopo aver partorito qualche pensierino e poi giù, su carta. Scrivere è ben altro. E’ un addensamento che TI addensa e ti fa diventare quelle parole. Ti scarta da te stesso, ti spiazza, ti rivolta, ti dà dell’imbecille: ti fa amare.
Prendiamo ad esempio “Orfeo ed Euridice” di Jorie Graham.
Echecivuole: tema trito e ritrito, stantio (puzza di morto).
Echecivuole: basta un po’ di malinconia, nostalgia, disperazione, la solita truffa degli dei e il gioco è fatto!
Non è così. Nessuno lo ha mai scritto in quel modo.
Scrivere, infatti, non è scrivere: è inventare nuove modalità di espressione. E’ inventare la lingua, il modo di usarla, rinnovarla, renderla diversa da se stessa, partorirla , partorirla ancora, farla nascere e rinascere dopo averla fatta morire e nascere di nuovo, fino a non riconoscerla più. Cos’è questo? Si chiederà la lingua. Una lingua nuova: esistenza.
“Lì davanti, lo so, già lo sentiva sommuoversi in sé, lo sguardo,
quella cosa che saetta nell’ammasso di rocce
già in lui, là, rilucente tra i detriti, che sussurrava Volevi restare
completamente illeso?
il punto-di-vista che saettava in lui, testa rilucente nel cumulo di
cenere,
che sibilava C’era una volta, e poi Girati ora caro rivolgimi quello
sguardo
quel colpo perfetto, dammi il luogo in cui vengo cancellata…”
(Jorie Graham “Orfeo ed Euridice”, in West of your cities, Minimum fax, Roma, 2003).
Ora, io credo che anche Dio dovrebbe essere Uno capace di scrivere, ma non ho mai letto niente di Suo.
Questo linguaggio scarno, singhiozzante, apparentemente surreale ci consegna ad una terra di nessuno dove l’impossibile si inoltra e ci trasporta. Stupiti, ci affidiamo a quei passaggi dove il Mito scompare, trasformandosi in qualcosa che ci riguarda molto più da vicino, non un Ade trascorso e improbabile, ma una qualsiasi strada di una qualsiasi nostra città, un Ade sotto casa, un bar dove sedersi a un tavolino e osservare il passaggio, un’uscita da teatro dove incontrare qualche amico che non sapevamo di avere, un occhio fuori dalla testa che ci saluta e dice: “guardami” ed attraverso noi “guarda”, perforando il nostro comune modo di vedere. Ci fa vedere qualcosa che avevano consegnato al consueto e neppure supponevamo potesse esistere diversamente. Invece è così: esiste. Diversamente.
“La cosa, deve aver pensato lui, poteva essere messa a riposo, là,
nello sguardo
poteva tornare a giacere nella polverulenza, rinunciando al proprio
contorno?
(…)
Poiché vedi lui non riusciva più a essere sposato a questo
campo che contiene minuti
chiamato donna, la sua presenza in lui la cosa chiamata
futuro …
Ciò che lui sognava era questa strada (nel percorrerla), questa
polverulenza
ma senza i loro passi, le loro impronte, senza
canto…
Ciò che lei sognava, nel guardarlo girarsi con la curva della strada
(riesci a
capirlo?) _ ciò che lei sognava
era scomparire nel visto
non scomparire, mio dio, nel reale…
E certo lei poteva già sentirlo in lui, lì davanti, quel-volersi-girare-e-
proiettare-la-sagoma-su-di-lei
con il proprio sguardo
che sigillava i margini
dicendo Ci siamo già visti da qualche parte cara, vero,
dicendo Sei il tipo di donna che eccetera _”
(Jorie Graham, Ibidem).
Il testo non finisce qui, ma non trascrivo altro perché l’universo è incompiuto.
Si dice che Dio sia Infinito, anche quando parla. Ma non ho mai letto i Suoi discorsi. Solo qualcosa che gli somiglia.
Nota biografica.
Jorie Graham è nata a Roma nel 1950 ed è cresciuta in Italia e in Francia; attualmente insegna ad Harvard. Ha pubblicato nove libri di poesia, tra cui Dream of Unified Field che ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1996.