In molte poesie si nota che l’autore/autrice si rivolge a un “tu”, apparentemente impersonale. Viene spontaneo riferirlo a un’ipotetica donna – o uomo, a seconda dell’identità dell’autore. Non credo sia così.
Quel “tu” cui il poeta si rivolge è la propria interiorità, quel sé nascosto e spesso, se non sempre ignoto, con cui si cerca un dialogo e per il quale si scrive.
Il poeta scrive di sé e a se stesso, tentando di intravedere e, in qualche modo sfiorare, ciò che lo spinge a scrivere, con cui cerca un dialogo e che “spinge” a dialogare.
La poesia è dunque un dialogo. “E’ solo entro lo spazio di questo colloquio che si costituisce l’entità interlocutoria, la quale si aduna intorno all’io che l’appella e la nomina” (Paul Celan, La verità della poesia, Einaudi, Torino, 2008). Questo dialogo non può essere segreto.
Il “tu” interiore che viene chiamato e nominato rimanderebbe a un luogo segreto, incomunicabile, un sé in se stesso alieno all’incontro con l’esterno, ma il poeta ha invece un estremo bisogno di comunicare anche col mondo e per questo non può fare a meno di pubblicare le proprie opere. Perché? Credo che il poeta sia portatore di una contraddizione profonda che è alla base del suo scrivere.
Due forze, uguali e contrapposte, una tesa all’incontro col se stesso e al dialogo interiore, l’altra tendente al mondo e al riconoscimento dall’esterno, lo agitano e lo muovono. Sembra che il poeta non possa vivere al di là di queste forze che lo contraddistinguono.
La prima è, ritengo, l’espressione del suo autismo invincibile, il suo essere con sé, fuori dall’Altro intruso che confonde e inquina la fonte nascosta del suo essere, nella quale il poeta ha l’istinto invincibile di chiudersi e con la quale dialoga per tentare di esistere. L’altra, tendente verso l’esterno, cerca il riconoscimento da parte di quell’intruso alieno, l’Altro del mondo che vorrebbe escludere, ma che gli è altrettanto necessario per evitare un naufragio irreversibile in se stesso e nell’autismo che lo caratterizza e dal quale trae nutrimento e fonte di scrittura. Senza l’alieno, il poeta sarebbe un dialogo muto, inesprimibile e inespresso, un silenzio di sé: il silenzio del proprio autismo.
In questa contraddizione il poeta si muove e tenta di far dialogare le forze contrapposte che lo spingono a esprimersi per essere se stesso e, allo stesso tempo, per non sparire in sé.
Queste le forze in gioco e, se vogliamo usare termini già noti e forse ancora mal compresi, Eros e Thanatos, le due facce di quell’unico “alieno” che troppo spesso rappresentiamo per noi stessi(1). Credo tuttavia che questo non sia valido per tutti, ma è innegabile che, spinti da quelle forze ignote e non risolte, molti poeti hanno concluso tragicamente la propria esistenza.
(1) Questa non è l’unica chiave interpretativa per rappresentare la contradditorietà dell’umano e la difficoltà del rapporto con se stessi. In genere la uso in chiave sociale.