Io non sono la vita, ma una parte;
del tempo faccio solamente parte,
ma non sono la morte: una parte.
Non sono neppure l’universo ma una parte.
Partecipo di un’esistenza e un vuoto
solo in parte,
ma non sono neppure una misura.
Sono soltanto un limite: una parte.
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la parte
lettera ad un affanno
Carissima
mentre la luce vola e il tuono insiste
oltre di là sfuggente
eppure adesso
come se fosse vero questo mai
ti invito a fare i tuoi preparativi
nel tempo che rimane.
Capirai
segnali ed intenzioni
gli accenni ormai precisi
mentre la chiave sfuma e l’universo
si stordisce di forme
parafrasando
lampi
sostegni
ombrelli senza manici
sempre sfuggenti
sogni.
Difficile restare indifferenti
si rischia di smarrire
ogni riferimento già deciso
e fondersi
con l’idea d’infinito
che non giova ai confini
alle notti stremate dagli amanti
alla malaria
e rende questo mondo esorbitante
una specie di ruota
che ti gira
e l’ascensore non ha sopra e sotto
valica
da una città nell’altra
senza sosta di tempo.
Fosse destino già lo capirei
ma come sai
abbiamo depennato
certe parole ambigue
e se il tempo ripete i suoi percorsi
non è colpa del vino
e tuttavia
la volontà desiste
e per quanto s’appigli
a testi evoluzioni indipendenza
ammette l’impossibile stortura
e per questo s’adagia
dove il finito duole e l’incontrario
spande incapacità senza rancore.
Da parte mia
sollecito le ore a definire
campi d’asciutto
recinti
processioni
fodere senza abiti di lana
che si suda, si suda
e la vestale è sempre accanto al fuoco
dove la trovi se ti va di andare
per una passeggiata senza scarpe
e le mutande a casa
come se fosse quello che rimane
mentre tu
che disinvesti il mondo
scrivimi appena puoi
forse la notte
e desiderio spento fronteggiare
l’inutile del fatto
che almeno si rivesta di cadere
e limite
prepararsi a partire.
samarcanda
Quindi mi trovo in piazza paradiso
senza alcuna ragione
e non saprei orientarmi
se non fosse la povere che mi ricopre i piedi:
forse stelle.
Noi restavamo ignoti
e il viso mi sembrava la stanchezza
di una ripetizone che conferma
ma non dai garanzie
quando i cigni volano l’inverno
per sostenere l’integrità dei gelsomini
e la penombra
di questo immenso privo di confini
da dove ci scrutiamo nel passaggio
d’ore d’affitto
vento a scivolare.
(di passaggio): Albatros
Qualche volta la sera
ti vestirei di striature azzurre
per un incontro immenso come il mare.
Io non posso restare.
Quindi riverso fondo
ti sfiorerei le palpebre e il tuo sonno.
Stelle
non ne posso toccare.
Mi legherei le ali alla tua schiena
e la parete al cielo
forma
che non posso imitare.
Venni in città di sera ed una luce
dove tu riflettevi una finestra.
Senza
non riesco a volare
preludio
cosa faccio di te
– cosa ne faccio –
di questa forma tesa d’infinito
che mi circonda
ma non so toccare
e mi riduce
a un denominatore
senza riscontro e senza risultato
se non fosse che sei nel tempo astratto
che mi è dato inseguirti
e riposare
il limite
dove spesso mi trovo
ombra
L’indiscutibile soggiornava immoto
oltre lo schermo delle stelle fisse
e distanza
misura di un’assenza
mai superata e gonfia di ristagno
in un grumo di terra
mentre la notte
e tutta la pietà
si preparava a cingere
ogni vago del mondo
come l’acqua azzurrata e fiumi grandi
tesi nel mare e l’onda
di creature d’abisso che non sai.
Stupito
quando mi piego in alto e l’infinito
sosta
dentro l’ombra dei giorni.
cose d’altro
Lasciami nel finito
disserrato
da legami di mondo
dove il silenzio tace.
Lasciami
sulla linea di costa
nel mare che si ferma e la domanda
non trova spazio di risoluzione
diverso dall’assenza
deriva
del ripetuto eterno senza voce
che la mente in salita
svolge
fino all’ultimo capo
nel manto della terra
come riparo alla dissipazione
scordami
nel finito di pace
dove la notte fruga
sogni di forma
e siedo
nel riposo dell’ombra.
sestante
Occorrerà
a noi dannati sparsi
ricucire la terra
ed accerchiare il campo delle stelle
a riempire la sorte
lungo il moto incessante
del lunario animale
e chiudere le porte dell’eterno
perché ritorna
mentre per noi il sollievo è nel finire.
Occorrerà redimerci
dall’universo sparso
dove noi costruiamo storie magre
che qualcuno dimentica
quando la luna scende ombra di terra
sale
l’indefinito
e noi malati cronici
parliamo malattie
e asserragliati al limite
dell’anima alla morte
occorrerà tracciare
rotte diverse
a scoraggiare il Grande Indifferente
che circonda la terra
e le approssimazioni delle stelle.