E l’acqua fruscia
immobile
distesa
senza tremare se le sfioro il viso
e l’anima la terra.
Ci scriviamo la sera
la mia costernazione
che mi circonda
ovunque
senza stella.
E l’acqua fruscia
immobile
distesa
senza tremare se le sfioro il viso
e l’anima la terra.
Ci scriviamo la sera
la mia costernazione
che mi circonda
ovunque
senza stella.
Una sera magari ci vediamo
per un aperitivo
un ombrello
un fiore a secco
una fotografia senza pazienza
scambiandoci due idee
una per uno
una polvere
un’orma
fuggitiva
o avrei inseguito un lascito di odore
che ci avrebbe poi fatto rintracciare
il tuo sorriso e il mio
– ti avrei detto una volta –
Aspettami sotto casa
verso domani o ancora
e se il cielo è di pioggia
indossa
qualche nuvola sparsa
e una frase comprata a un carrettino
ma le domande
tirale sottovento
altrimenti gli odori copriranno
tutto il gusto d’amaro.
Non assicuro niente:
tu rimani
e l’ombrello appoggiato contro il muro
legaci fazzoletti
e vento
che lo gonfi di sera
come una spedizione di frontiera.
Mandami qualche cosa da scordare
un biglietto forato
una conchiglia
un fiore.
Io non lo so se vengo:
capirai.
immagine di jamie heiden
Qui non fa mai la neve. A volte dentro.
Un suicidio piccolo: memorie.
Come se un usignolo si sfaldasse
e lentamente a terra: ricadere.
Ah, Madre, io non ho più un ombrello
e ripararmi è ombra.
tratta da “Memorie di uno piccolo” (in lavorazione)
dicono fosse sbagliato l’antefatto
quando sei scesa verso il mio cancello
senza prima sfogliare altri carteggi
o scrivere di te sui muri a secco
dove a volte le viole
o le cicale nel fraseggio estivo
che non concede tregua all’orizzonte
e comunque segnare il tuo ritorno
in questa mia precaria divergenza
dove si perde la destinazione
e punti cardinali senza sponda
vecchie foglie d’autunno senza viali
e i piedi fanno onde come il mare
ma non sapevi ancora la stagione
dunque come potevi
tra le voci viaggianti
sussurrare la sera ed ascoltare
se sussurrassi io
senza tenere conto del silenzio
che raduna le stelle.
dove si fermerà
questa città
più che altro un’idea
e il fiume
inconsapevolmente decifrato
ogni sosta di ansa
dove ti aspetto
nella scia
di una prossima volta
Da quando ho deciso di non scrivere più ho scritto moltissimo. Questa ve la regalo.
Ogni tanto succederà…
Lo sai come finiscono le storie:
non parla più nessuno.
Io parlerò di storie addormentate
perché non hanno veglia
né fiori per l’incerto senza ascolto
storie svagate
che durano una notte ed un tramonto
e una sedia a una donna
con gli occhi fissi sulla mia finestra
sperando di trovarmi la mattina.
Mi vuole dove stavano le madri
ne ho avute tre e un padre solamente
che non era mio padre ma un momento
di passi fondi lungo il corridoio
uno spiraglio
un viso da cercare
sbirciando le fessure della notte
ed immancabilmente addormentare.
Un uomo triste per la sua tristezza
che cercava la mia
e la sera uno scambio di parole
mentre lei ci chiedeva di restare
perché già stava dove non si sta.
Ma dove siete voi,
dove siete finiti
io vi sveglio la sera e vi impedisco
dispersioni di sonno
dove non c’è coscienza e non c’è storia
una vita da sola
dove siete vissuti e siete morti
e vi avvolgo un ricordo.
Voi mi guardate come un’illusione
e lingua bocche occhi spalancati
aspettate che parli
per mettervi un vestito di parole
che non avete detto
e in casa mi chiedete una lettura
che non avete letto
e tutto quello fatto nel non fatto
io vi porto da fare
e non mi date il tempo di morire
mentre le donne stendono ricami
che io ancora conservo
e non finite mai.
Ancorarsi alle foglie.
L’altro giorno viaggiavano l’intenso: direi uccelli marini (ma potevano anche essere schermaglie. D’amore, si)
Sotto, tempeste d’alghe addormentate sparigliavano sogni rendendo più intuibile l’incerto. In pratica, evanescenze d’universi paralleli o altre confusioni ingannevoli (praticamente quanti).
Pioggia di piume a volte (sarebbe come cuscini). To sleep perhaps to dream?
Telefonate zero.
Ma non parliamo di traversare il mare. Sembra un infinito piano di lunghissima complessa percorrenza. In realtà, una goccia arcuata roteante intorno a un fuoco enorme. Orbite sgocciolanti? Significherebbe perdere pezzi, ma tutto sommato mi sembra una questione poco interessante. Si provi invece a immaginare l’infinitesimale minimo del pensiero e la sua capacità di cogliere l’immenso.
Al di là (ma non saprei), visuali avvolgenti aggettavano. Difficile dire cosa.
Vento arzillava rondini ma Parigi rimaneva grigia, come fanno di solito i viaggianti quando cade la sera e si scolora confondendo lineamenti e dintorni.
Ma tu non voglia inseguire il temporale né avvolgere di carta oleosa la colazione. Non voglia vendermi, che ho già provveduto da solo. Quanto ai giornali, scadono e la lettura è miope. Gli occhiali: probabilmente in cantina.
Né rivolgerti alle scarpe sotto il letto dove i viali non hanno arcobaleni e neppure argenterie. Piuttosto, due patatine fritte lanciate con un vettore al mio foraggio sarebbero gradite. And a bitter of you.
Ci penserai? Dunque confermi la mia pazzia. Nella dissoluzione generale anche questo è un sollievo.
Tratto da “Memorie di uno piccolo” – in lavorazione. Che faccio, continuo?