Con la malinconia di questa sera
ogni giorno finisce e mi dispongo
a una notte di stelle
che non incontro mai.
Solo se fossi mare sarei pace
ma il vento è disciplina e le mie braccia
non sanno più remare.
Con la malinconia di questa sera
ogni giorno finisce e mi dispongo
a una notte di stelle
che non incontro mai.
Solo se fossi mare sarei pace
ma il vento è disciplina e le mie braccia
non sanno più remare.
Quando c’era il silenzio
eravamo soliti scambiare
un bisbiglio profondo
che mi sembrava come una collina
che risuona la notte
dove intuivo forme
lente come le stelle
quando la terra non conosce il tempo
e i ruderi
durano quasi un’eternità.
Sai la notte, lunga interminabile sommersa
quasi si tocca il nulla, quasi il fondo
di questa casa immersa
ed il suo aspetto dove sta il rimosso
e ti senti cadere mentre stai
forse nel tempo, forse nel sospetto
di qualche sfumatura
e allora sai
mi domandavo dove
siano finiti
e mi tenevo in mano la domanda
rigirandola come un’altra terra
dove non c’è una sponda e non dicevo
che fa paura il buio
ai bambini
ai vecchi
ed ai dispersi.
Una notte bianca è una notte in cui il sole scompare dal cielo solo per un paio d’ore – un fenomeno ben noto alle latitudini settentrionali. Per la città è il periodo più magico, quando si può leggere o scrivere alle due del mattino senza bisogno di una lampada e quando i palazzi, spogliati delle loro ombre e con i tetti orlati d’oro, prendono l’aspetto di un delicato servizio di porcellana. C’è intorno una tale quiete che quasi si può udire il tintinnare di un cucchiaio che cade in Finlandia… e i ponti si ripiegano, come se le isole del delta smettessero di tenersi per mano e si lasciassero andare adagio adagio alla deriva, entrando nel filo della corrente verso il Baltico. In notti simili è difficile addormentarsi, perché c’è troppa luce e perché ogni sogno sarà inferiore a questa realtà. Dove un uomo non fa più ombra, come l’acqua.
(I. Brodskij, “Guida a una città che ha cambiato nome”, in Fuga da Bisanzio, Adelphi, 1987)
Se si ponesse l’alba
come a trarre
o la notte distesa
una proposta ed una suggestione
se mi venisse una diversa sera
mi colmerei di te
pallidamente
ed invitandoti
ci vestiremmo per la circostanza
e un grande sonno.
Mentre la notte lava le sue sere
io frugavo la terra
tra milioni di tempo
e nulla mi restava tra le mani.
Quindi l’alba.
Ed eravamo tutti frastornati.
(immagine di jamie heiden)
(foto di jamie heiden)
Se
non fossi stato a Itaca
non avrei visto perle nei tuoi occhi
né un viaggio che m’assale
e profondissima
questa notte
viene.
Qualche volta ti scrivo poesie
lungo la notte
appena
tra un’immagine e l’altra
che mi riesce di ricostruire.
Quindi mi sento minimo
pensando
a questa brevità che ci circonda
e mi chiedo
che cosa resterà di queste tracce
e la risposta è niente
ma non per questo smetto di pensarti
come a un’acqua
che per quanto si afferri non rimane
molto altro da dire.
Ah, Silvia,
s’avvicina la notte
e il mondo si riveste di mistero
mentre canti sostengono brandelli
poco oltre il mio qui:
lontana luce.
Se tu lasciassi se tu ti lasciassi
disporre come un ordine improvviso
senza troppi lamenti né sostanza
solleverei il tuo peplo alle ginocchia
ed una perla appena
lascerei scivolare i tuoi seni
per seguirne il percorso fino al ventre
indovinando il velo di sudore
che lucida la pelle sempre che
tu ti lasciassi ed io
fossi un acino d’uva
mentre il vento
m’aiuta a divagare verso dove
vagamente la luna.
Sai,
sognavo spesso di dimenticare.