(immagine di luciana riommi)
Alla fine dell’infinito
troveremo le immagini scomparse
dai tuoi occhi
e una sera.
(immagine di luciana riommi)
Alla fine dell’infinito
troveremo le immagini scomparse
dai tuoi occhi
e una sera.
La solitudine sì, quella era sempre la stessa
e si presentava la mattina con una folla di ricordi
per dirgli che era rimasto solo
perché tutte quelle persone, quelle cose, le stanze, le strade, i dialoghi e gli anni,
erano tutti morti, diceva, non c’era più nessuno,
non ci poteva parlare davvero, tranne che nei sogni
che gli presentava uno ad uno, la mattina, nei biscotti col latte,
e la sera, nei biscotti col latte, aveva paura di specchiarsi, di rivedersi, di mangiarsi
e l’elettrauto era morto, il professore era morto, gli amici erano morti
ed erano morti i fischi nella sera, quando venivano emessi per ritrovarsi,
santo dio era morto tutto, gli diceva, e tu cosa ci resti a fare, domandava,
che non hai neppure il ponte di una nave per aggrapparti al nulla
di questo immenso mare che ti allaga
la strada dove vivevi e le strade vicine, mentre vicino ti resta solo quello che non c’è
e la tua dannata solitudine, che ti sei fatto vecchio, poveretto,
e guarda che stai annegando, gli diceva, cercati una nave
che il tempo non galleggia e ti serve un passaggio, un ventre almeno
dove infilare tutta la galassia delle cose che hai lasciato per strada
– a proposito, perché le hai abbandonate? –
non ti sei portato dietro niente, tranne questi ricordi, pesantissimi perché non hanno corpo
e quel che non ha corpo poi ti pesa, nel tuo, che, guarda, mica ha più tanta forza,
non ce la fai a sorreggere la cupola di San Pietro che vedevi dalla finestra,
il quartiere dove hai abitato e tutte le cose che hai detto,
che vi siete detti, detti vi siete, un’infinità di cose,
che l’infinito non è fatto di stelle ma di anni e tutto quello che ci è successo dentro
ma dove vuoi che metta tutta questa roba che ti porto la mattina
e pensare che sono solo io, sola come conviene a chi sta solo,
e mi pesi moltissimo.
Dedicherò
quest’astrazione grande che si accinge
a definirmi senza definire
a formare una cosa, ma non so ancora quale, qualche cosa
la cui informalità non mi ricordi altro che l’olio sparso sulla tela,
il messaggio, il fantasma, un vento piatto,
un impreciso, dunque, senza dire, poco meno di quello che avrò detto
alla mia sedia, al cavalletto, al sogno
e alla veranda che sostituisco con qualcosa di inutile
uno straccio
per pulire la mano, la teiera
dove qualcosa ruota come il mondo
e il cucchiaino un vortice
di cui seguo la forma che scompare
ogni volta che gira
la testa, il mio volere, il mio disagio
per le generazioni
il mio passaggio
senza formare altro che un tornare
a ricoprire tutta questa sera.
Walpurgis Night 1935 Paul Klee 1879-1940 Purchased 1964 http://www.tate.org.uk/art/work/T00669
Non ho occhi diversi dal guardare
dove poggi l’oceano la sera
né parole
quando mi scende il tempo
e sale
l’universo
all’imbrunire.
E l’acqua fruscia
immobile
distesa
senza tremare se le sfioro il viso
e l’anima la terra.
Ci scriviamo la sera
la mia costernazione
che mi circonda
ovunque
senza stella.
Una sera magari ci vediamo
per un aperitivo
un ombrello
un fiore a secco
una fotografia senza pazienza
scambiandoci due idee
una per uno
una polvere
un’orma
fuggitiva
o avrei inseguito un lascito di odore
che ci avrebbe poi fatto rintracciare
il tuo sorriso e il mio
– ti avrei detto una volta –
Tu sei capace
di suscitare desideri intensi
e mi trasformi l’anima in furore
ma la sera mi muore.